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Channel: I SAPORI DEL MEDITERRANEO
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Rane in zuppa

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Oggi è la giornata dedicata alla  lumaca e della rana, Manco a farlo apposta il  calendario del cibo italiano dedica la giornata a due alimenti che sono tipici della mia città.
Fino agli anni  60 la mia città Marcianise era una città fortemente rurale, trasformata radicalmente dall'industrializzazione degli anni 70. La popolazione ha perso quasi completamente quella tradizione contadina, ed è per questo che le rane e le lumache vengono considerate oggi dai più giovani un alimento per stomaci forti. Fortunatamente oggi grazie ad alcuni imprenditori agricoli della provincia di Caserta sono nati tantissimi allevamenti di lumache. Le rane invece sono un problema, dopo l'industrializzazione è sparita dal nostro territorio, anche se Marcianise la rievoca tramite la sagra delle rane ad una usanza ormai scomparsa. Marcianise era il paese delle rane grazie ai Regi Lagni, canali di bonifica realizzati dai Borboni agli inizi del  600.  In questi canali fluivano acque limpide , dove gli agricoltori si abbeveravano e attingevano acqua per irrigare i loro campi. In queste acque c'erano abbondanti anguille, ammarielli di fosso e rane a quantità industriali, per questo gli abitanti di Marcianise venivano chiamati ranognari, per l'antica e particolare abitudine di pescare e mangiare le rane, abitudine questa che si ritrova in moltissime aree umide d'Italia. La rana o in dialetto ranogne, era il cibo povero e popolare e il "medico condotto" consigliava il brodo di rana nell'alimentazione dei bambini in stato influenzale. La rana rappresentava una preziosa risorsa alimentare per i contadini che non potevano acquistare la costosa carne rossa , perchè ricca di ferro e proteine. Nella maggior parte delle cantine della zona anni fa e ancora oggi (importate da Vercelli) le rana venivano consumate impanate e fritte, però in un antico documento del 1810 del dott. fisico Gregorio Jannotta, "tutte le classi di questo circondario spesso, fanno uso delle ranocchie in tutto l'anno, che si pescano nei regi lagni circa due miglia lontano nel sud di Marcianise, le quali fatti in zuppa sono molti salubri....." questa ricetta ho cercato di immaginarla come seguendo la descrizione del Jannotta.
Ingredienti per 4 persone:

500 g di rane 
300 g di pomodoro san marzano
1 cipolla
2 spicchi d'aglio
2 bicchiere di acqua
1 pizzico di peperoncino
prezzemolo
 olio extra vergine di oliva
sale e pepe q.b.
Procedimento: 
Già le rane non sono ben viste dalle nuove generazioni...., poi se mi metto a spiegare pure come l'ho sgozzate, nessuno le compra più... Porto avanti la tesi di non pubblicare nessun piatto che abbia un alimento congelato, con le rane non è stato facile....
In un tegame fate soffriggete a fuoco lento il trito di cipolla, aglio e peperoncino, aggiungete il pomodoro  e l’acqua calda, e lasciate cuocere per 25-30 minuti a fiamma dolce con un coperchio. Aggiustate di sale e aggiungete le  rane ed un altro bicchiere d'acqua calda, fate cuocere per 15′-20' minuti con il coperchio. Spegnere la fiamma e lasciare riposare per altri 10', impiattare e guarnire con il prezzemolo e volendo pepe macinato a momento  accompagnate da bruschette.

Bucatini fave guanciale e pecorino.

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Oggi il calendario del cibo italiano celebra la giornata delle fave e pecorino, il sapore dolce e delicato delle fave che si contrasta con quello forte e marcato del pecorino. Le  fave sono un ingrediente neutro che grazie al loro sapore delicato sono il compagno affidabile del pecorino, e possono essere  impiegate  in molteplici ricette. Le fave sono legumi e  vengono seminati tra gennaio e marzo per poi essere raccolti nel periodo primaverile, tra aprile e maggio.. Ho usato i bucatini per questa ricetta, ma va bene qualsiasi formato di pasta.
Ingredienti:
400 Bucatini
170 Guanciale
1 bicchier di vino bianco 
1,2  kg circa di fave
Olio extra vergine di oliva
pecorino
sale
Procedimento:
Privare  le  fave del baccello e  frullarne una piccola parte  insieme all’olio extra vergine di oliva e due cucchiai di acqua, ottenendo una crema. La restante parte tritarle manualmente  con un tritatutto manuale, o frullarle ad intermittenza in un frullatore. 
Tagliate a listarelle il guanciale e fatelo rosolare in una padella di alluminio con un cucchiaio di due cucchiai di olio extra vergine di oliva. Appena risulterà dorato e croccante versate il vino bianco e farlo evaporare a fuoco vivace.  Versare la crema di fave e le fave tritate  e fare cuocere per circa 2 muniti insieme. Fare cuocere i bucatini in abbondante acqua salata, scolare la pasta al dente e saltarla nella gricia e fave aggiungendo mezzo mestolo di acqua di cottura 3 cucchiai di pecorino. Impiattate e aggiungete altro pecorino.
Buon appetito !

Roller di spaghetti, ricotta di bufala e limone

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Il tema scelto da Giovanna, vincitrice della precedente sfida sul Sartù sono i roller, ovvero un cilindro creato arrotolando più ingredienti uno dentro l’altro. Partecipo al fotofinish, stasera abbiamo degustato questo tipo di preparazione che ho trovato pratico e divertente. Il lampo mi è venuto stamattina, quando ho pensato di arrotolare gli spaghetti per i roller, usando i prodotti del territori, ricotta di bufala e limone, arricchito con qualche seme di girasole tostato. Il secondo roller invece, molto più pratico e scontato, zucchine arrostite, speck e ricotta sempre con semi di girasole tostati. L'mtchallange non finisce mai di stupirci con una varietà di ricette ampia.
Ingredienti per roller di spaghetti
80 g di spaghetti
75 g ricotta di bufala
semi di girasole 
4 cucchiaini di uovo 
scorza di limone 
pepe
peperoncino dolce di calabria
Procedimento:
Ho cotto gli spaghetti al dente e li ho lasciati raffreddare. In una padella antiaderente ho messo gli spaghetti uno vicino l'altro e a fuoco lento li ho sigillati versando sopra qualche cucchiaino di uovo sbattuto. Ho lasciato raffreddare gli spaghetti. 
Su una pellicola trasparente ho messo gli spaghetti e su di esse ho spalmato la ricotta di bufala campana, aggiustata di pepe, semi di girasole tostai e scorza di limone. Ho arrotolato il roller aiutandomi con la pellicola. Ho messo il rolles, sigillato con   la  pellicola trasparente in congelatore per 30 minuti. Ho tagliato a rondelle e adagiati su dischi di pane cafone tostati. Ho adagiato ad ogni rondella un disco di pane cafone e ho decorato con scorza di limone e peperoncino dolce di calabria.
Ingrediente per roller alle zucchine e speck
2 zucchine 
75 g ricotta di bufala
2 fette di speck 
semi di girasole tostati
Procedimento:  
Ho pulito le zucchine, tagliate e cotte su una piastra di ghisa, ho fatto raffreddare. Su una pellicola trasparente ho messo  le zucchine, su di esse ho messo lo speck e sopra ancora ho spalmato la ricotta di bufala campana, aggiustata di pepe, semi di girasole tostai. 
Ho arrotolato il roller aiutandomi con la pellicola. Ho messo il rolles, sigillato con   la  pellicola trasparente in congelatore per 30 minuti. Ho tagliato a rondelle e adagiati su dischi di pane cafone tostati. Ho adagiato ad ogni rondella un disco di pane cafone e ho decorato con scorza di limone e peperoncino dolce di calabria.
Con questa ricetta partecipo alla sfida n° 66 dell'Mtchallange

Il cortile di Cerere

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Vogliamo dare voce al nostro territorio, ricco di tradizioni ed eccellenze enogastronomiche, racchiusi in uno spazio di terra fra i più fertili del pianeta. Questo pensiero, visibile sulla home page del blog, è il messaggio che ho tentato di far respirare ai lettori in questi anni, cercando di coinvolgere quante più persone possibili, con lo scopo di valorizzare e promuovere il nostro territorio e le nostre tradizioni. Ad un certo punto però, mi sono accorto che mancava il contatto e la condivisione con le persone. 
Grazie alla passione di un gruppo di amici, per la cucina e la cultura enogastronomica, abbiamo fondato un associazione culturale enogastronomica: 'Il Cortile di Cerere'.
Come sapete Cerereera la dea Romana protettrice delle messi e già nella scelta del nostro nome abbiamo voluto dare l’idea dello scopo principale di questa associazione. Pensiamo che sia urgente ed importantissimo tutelare i prodotti del nostro splendido territorio, le tradizioni che sono state alla base della vita in questo Paese e che se nessuno si cura di tramandare alle giovani generazioni, purtroppo andranno perse. E’ importante però fare rete, aiutarsi in questo lavoro di promozione del territorio e delle sue eccellenze e un’associazione ossia un’unione di persone che hanno gli stessi valori e credono nell’importanza di mettersi insieme per fare qualcosa di buono ci è sembrata la cosa più saggia… 
La presentazione dell'associazione alla cittadinanza è avvenuta il 19 febbraio nella sede A.N.F.I  A.N.P.S in Piazza Umberto I a Marcianise. Oltre alle numerose associazioni del territorio, era presente anche l'amministrazione Comunale rappresentata dalla Vice Sindaco Angela Letizia e dal Sindaco Antonello Velardi. La presidente illustrava gli scopi e i programmi dell'associazione, con accenno alla promozione e tutela dei piatti tipici della tradizione locale e alla realizzazione di progetti educatici e formativi per una sana e corretta alimentazione.
Nel'occasione della presentazione dell' associazione il Cortile di Cerere, è stato presentato il libro "Dall'esperienza alla scienza , come si curavano i nostri nonni della scrittrice Giovanna Ferrante Sorrentino. Al termine della manifestazione è stato offerto il migliaccio, un dolce della tradizione locale, accompagnato dal liquore con latte di Bufala "Guappa" dell'Antica distilleria Petrone.





Un ringraziamento particolare va al Prof. Giuseppe Armiero, artista di spessore di Marcianise che ha dato un volto all'associazione, realizzando il logo "Cerere" associato al cibo.


Antica Trattoria San Lorenzo tra i primi ristoranti piu amati dagli utenti internet

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Approdato a Milano per l’evento dell’anno: CHEF AWARDS 2017. Il primo Evento sul food dedicato alla premiazione dei talenti culinari nazionali, basato su un nuovo concetto di votazione utilizzato per la prima volta in Italia.Il 29 Maggio 2017 l’Auditorium " Verdi" nel cuore della città Meneghina, è stata la location che ha  ospitato l’evento.Milano, la capitale indiscussa del cibo Made in Italy, è la città scelta per questa prima edizione Chef Awards 2017. Un concept che vuole essere una nuova forma di riconoscimento, durante la quale gli chef in gara sono stati selezionati dal web:la voce più sincera e vera sul mondo della ristorazione. Sul palco, sotto la regia di un conduttore capace e sagace , Paolo Ruffini , sono saliti 100 Chef e ristoratori, inoltre, ospiti autorevoli come Chiara  Maci, una delle influencer più importanti della cucina italiana, Fabio Bandiera, anche lui blogger e docente per il marketing. Tutti con la propria storia e la propria peculiarità hanno dato vita ad un momento importante ed emozionante di condivisione e di confronto, portando la loro  dinamicità e creatività e sfidandosi a colpi di show cooking con gli altri Chef in gara presenti all'evento. E’ statoun vero e proprio show, rivolto ad un pubblico eterogeneo durante il quale si sono  alternate premiazioni, contenuti formativi, dimostrazioni e foodexperience.Chef Awards un format innovativo e vincente che si sposa perfettamente con il partner ufficiale dell’iniziativa: Groupon, il leader mondiale nel settore dei gruppi d'acquisto, il cui canale di comunicazione e marketing ha rivoluzionato le dinamiche di vendita nel mondo.Infine sul palco sono salititra i migliori 100 cuochi selezionatida Chef Awards 2017,  tra questi,  per due volte consecutive, lo chef Umbro Simone Ciccotti dell’Antica Trattoria  San Lorenzo di Perugia, Vincitore della categoria Miglior Chef Sostenibile, (la sua è una cucina moderna con un richiamo alle tradizioni Umbre). Gli Ingredienti sono selezionati con cura ed i piatti a basso contenuto di Grassi. I due ingredienti che non devono mai mancare nella tavola dello chef Ciccotti sono L’olio Extra vergine di Oliva di Campello sul Clitunno e le carni allevate a terra.Ciccotti Conclude dicendoci Tante parole non sempre rendono interessanti i discorsi… a volte una sola parola racchiude un profondo significato: grazie al team Maria Elena Randetti
AstonMartin- Unox- Spiritocontadino- Brera13- Poloristorazione- Cattabriga- Agnelli -Goldplast- Lenaturelle- Bindisecondo -Lurpak –Chefline-Groupon.

Simone Ciccotti SALUTA E RINGRAZIA …La città consente di vedere senza essere visti e di essere visti senza vedere.Grazie Milano per la magnifica Ospitalità che mi dai ogni volta ....Torno in Umbria per condividere il premio con la mia Terra....
Chef Awards 2017 ...Seeyousoon.



Seppia arrostita su pietra lavica, su crema di ceci Neri

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I ceci neri sono tra i legumi più gustosi che si trovano sul mercato, l’Italia vanta una varietà particolarmente pregiata, la    ”Murgia carsica”. Questo legume, sposa benissimo con i piatti di pesce, un must per la cucina italiana. Noi lo proponiamo con la seppia arrostita su pietra lavica e nasturzio, (che è un fiore commestibile e viene usato come surrogato del cappero, le loro foglie hanno un sapore leggermente piccante), il tutto condito con l’olio extra vergine Goccia di Sole di Molfetta tratto dalle olive Ogliarola Barese e Coratina..
 Ingredienti (per 5 persone):
1000 g di seppie
400 g ceci neri
Sale
Aglio
Rosmarino
Olio extra Vergine di oliva
3 fiori nasturzio
Pepe nero
Procedimento:
Sciacquate i ceci neri  e metteteli a bagno in acqua fredda per 36 ore circa. In un tegame di creta, fate rosolare a fuoco lento  l'aglio schiacciato e un rametto di rosmarino per circa 2 minuti . Versate  tegame i ceci neri lasciandoli insaporire per circa 3-4 minuti. Coprite i legumi con abbondante acqua, portate a ebollizione e lessateli per circa 2 ore fino a quando saranno teneri, facendoli sobbollire a fuoco lento. Aggiustate di sale dieci minuti prima di spegnere il fuoco. Frullate i ceci con il loro brodo di cottura con un frullatore a immersione. Pulite le seppie, togliete l'osso e spellatele. Arrostite le seppie, io l’ho arrostite sulla pietra lavica bella rovente, ma potete sostituire questo tipo di cottura con una bistecchiera di ghisa, o su una padella antiaderente bella calda. Una volta cotte tagliatele a striscioline e  salatele. Distribuite  la crema di ceci neri nei piatti e adagiate sopra le striscioline di seppia,  condite il tutto con l’olio extra vergine di oliva, pepe nero, gambo di nasturzio tagliati finemente e fiori di nasturzio per decorazione (sono commestibili). 

Tosone e guanciale su pietra lavica.

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Nel post precedente , dedicato al parmigiano reggiano, con riferimento al caseificio San Pietro di Montegibbio , ho parlato di come viene prodotto questo magnifico formaggio.Ma durante  la formatura  e la pulitura del parmigiano nasce un alimento che come vedremo ha origini antichissime. Personalmente di questo prodotto caseario non ne avevo mai sentito parlare , infatti e' fortemente radicato nella zona di produzione del Parmigiano Reggiano.
Pulire le forme di determinati formaggi e' descritta nella Summa Lacticiniorum, un opera medica di Pantaleone da Confienza(1447) , medico, archiatra ducale e consigliere fidato di Ludovico Savoia. La pratica di pulire i formaggi e correggere il profilo della forma è una operazione che ha radici antiche, oltre ad essere una tecnica ha dato origine alla nascita di un alimento .Il tosone che oggi sopratutto nell'area di produzione del parmigiano reggiano trova applicazione in molteplice ricette e indica il bordo del formaggio, ovvero la tosatura.
Una volta che la massa caseosa viene messa nel "fasciere", viene stretta e coperta con un peso.Questa operazione ha lo scopo di il siero in eccesso ma anche il formaggio, che e' ancora tenero.Il formaggio in eccesso viene tagliato e appare come strisce lunghe e sottili. .Seguendo il consiglio della Giuliana ho fatto un involtino di solo guanciale con del tosone all'interno , solo che invece di cuocerli forno l'ho fatti disintegrare sulla pietra lavica.
Il risultato ????? Indescrivibile nel sapore, DIVINO e' poco!!!!!!
Nel dialetto emiliano viene chiamato Toson e indica appunto le  listarelle di formaggio che si ritagliano dalla forma .

Ingredienti :
Guanciale
Tosone di Parmigiano Reggiano
Formare degli involtini con del guanciale o pancetta, con al centro del tosone.Riscaldare la pietra lavica e cuocere gli involtini per 4-5 minuti finchè non saranno ben dorati.Tutto il resto lo verificherà il vostro palato  :-)
Troverete il  "Toson" al Caseificio
Parmigiano Reggiano DOP e Ricotta fresca
0536 872807--0536 872807

Raviolo di peperone mbuttunat su crema di mozzarella di Bufala

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Dal 1 al 10 settembre si terrà a Carmagnola la 68esima edizione della Sagra del Peperone. Un evento culturale e fieristico  tra i più importanti d'Europa .  
In occasione di questo evento, con altri appassionati del buon cibo, presenterò  una ricetta legata alla tradizione culinaria del mio territorio, rivisitandola in modo che veda protagonista il Peperone di Carmagnola. Partiamo subito con il racconto dedicato ad un ortaggio che ha trasformato e arricchito i piatti della tradizione italiana.
......Nonna Mariuccia (anni '50-'60) era quella che oggi tutti chiamano Chef, o artista della culinaria. Lei non si è mai considerata tale, ma solo massaia, ossia donna di casa, intesa come conduttrice della educazione e delle tradizioni della propria terra d'origine. L'alimentazione quotidiana consisteva in tutto ciò che "LA Felix" produceva. Al dì di festa, l'essere a tavola tutti insieme dopo ascoltata la Santa Messa, era una visione che si può raccontare in poche parole:
1) Il tegame di creta contenente ragù fatto con stinco di vitello "Braciola Napoletana"
2) Zitoni "maccheroni lunghi spezzati con le nocche"
3) Contorno, Peperone gialli e rossi imbottiti ('mbuttunat) così composti: peperoni di pane raffermo, capperi, alici e qualche spezia gradevole al palato di contadini che hanno amato e lavorato la madre terra per sostenere e migliorare la condizione di vita della propria prole. Tutto ciò non è altro che il presente del passato, ossia la memoria, o se volete della propria identità. Tutto ciò può essere solo un ricordo? Io dico di no! Il mondo può essere globalizzato, l'umanità può essere liquida , ma rimane la visione IPSE DIXIT. Ogni ricetta della tradizione, racconta la storia del territorio e dei suoi prodotti, ma anche ritualità e gli stili di vita. La storia ci racconta di come gli italiani hanno saputo trasformare ed adattare ingredienti provenienti da altre culture. Il peperone e il pomodoro sono l'esempio di come questi due prodotti sono entrati a far parte della cucina italiana grazie alla scoperta dell'America. Un ortaggio e un frutto, storie parallele Nord Sud di come queste due culture hanno convertito e arricchito le culture dei territori.
Il peperone si diffuse in Italia e in tutta Europa nel periodo tra le due guerre grazie alla competenza e al lavoro degli agricoltori di Carmagnola. Grazie a questo lungimirante lavoro di promozione iniziata subito dopo la seconda guerra mondiale con l'istituzione della sagra del peperone, Carmagnolaè diventata la capitale italiana del peperone grazie ai quattro ecotipi di peperone. Il Quadrato, (quasi un cubo con quattro punte), il Corno o lungo, (un cono allungato), il Trottola (a forma di cuore ), il Tomaticot (ibrido tondeggiante schiacciato ai poli come un pomodoro).
Nella cucina italiana, da nord a sud, i peperoni rivestono un ruolo fondamentale nei piatti della tradizione locale. Nella regione dove vivo, la Campania, il peperone viene utilizzato in molti piatti tipici e impiegato soprattutto per preparare conserve e salse. Infatti un piatto tipico di Napoli, il soffritto , viene cucinato con un mix di peperoni rossi e pomodori passati. Per questo contest propongo la rivisitazione del piatto per eccellenza raccontato sopra : il peperone imbottito. Un piatto che  è radicato in tutta la regione, dove ogni provincia ha la sua piccola variante. Nasce come piatto povero, infatti l'imbottitura del peperone è costituita da pane raffermo e ingredienti poveri. Ho trasformato il peperone imbottito in un raviolo, utilizzando tutti gli ingredienti della ricetta tradizionale.
Il pane raffermo si è trasformato in una sfoglia rigata con pasta di peperone, il ripieno è composto dal tris di peperoni, giallo, verde e rosso, pinoli capperi e fiocchi di patate per stabilizzare il ripieno.Il raviolo è stato condito con un soffritto di acciughe e pomodoro e adagiato su una crema di mozzarella di bufala. Per finire sul raviolo è stata grattugiata un pò di frisella per rendere meno aggressiva la salsa di acciughe.
Ingredienti 
sfoglia gialla
100 g farina "0"
100 g farina di semola rimacinata
2 uova
sfoglia di peperone 
50 g farina "0"
50 g farina di semola rimacinata
100 g di peperone rosso quadrato di Carmagnola
Ingredienti per il ripieno
200 g di peperoni gialli, rossi e verdi quadrato di Carmagnola
30 pinoli
25 capperi
6 olive di Gaeta
2 cucchiai di fiocchi di patate
2 cucchiai di olio extra vergine di oliva
basilico
sale
Crema di Mozzarella
150 g di Mozzarella di Bufala
80 ml di crema da latte
per condire 
4 filetti di acciughe
2 pomodori
olio extra vergine di oliva
prezzemolo
pepe
fresella con finocchietto
Procedimento:
Lavate accuratamente i peperoni, asciugateli e sistemateli in una teglia da forno antiaderente. Infornate a 200° per un’oretta circa (a metà cottura girateli in modo che cuociano bene da ambo i lati). Dopo la cottura,chiudeteli in una busta di plastica per alimenti per circa 30 minuti,questo faciliterà la rimozione della pellicina. Fate i peperoni a striscioline e metteteli a sgocciolare in un colino per un 1/2 ora.
Sulla spianatoia fate la fontana con la farina "0" e la semola rimacinata, al centro aggiungete l'uovo e un pizzico di sale, con una forchetta sbattete le uova e iniziate a incorporare la farina partendo dai bordi della fontana.  Quando avete incorporato  gran parte della farina incominciate a impastare con le mani, lavorando bene il composto per circa 10 minuti fino ad ottenere un impasto omogeneo. 
Lasciate l’impasto riposare sulla spianatoia coperto a campana con una ciotola per almeno 1/2 ora prima di stenderlo per fare i ravioli. 
Sulla spianatoia fate un' altra fontana con farina 0 e semola rimacinata, al centro aggiungete il peperone spellato frullato, con una forchetta incominciate a incorporare la farina partendo dai bordi della fontana. Quando avete incorporato gran parte della farina incominciate a impastare con le mani, lavorando bene il composto per circa 10 minuti fino ad ottenere un impasto omogeneo. Lasciate l'impasto riposare sulla spianatoia coperto a campana con una ciotola per almeno 1/2 ora prima di stendere la pasta. 
Riprendete l’impasto lasciato riposare e iniziate a stendere prima la sfoglia all'uovo, poi quella con i peperoni con il numero 1 della sfogliatrice. Prendete la sfoglia con i peperoni e tagliatela in tante strisce da 0,5 cm. Queste strisce le andrete ad applicare sulla sfoglia all'uovo (tagliata a metà) e con la pressione del dito cercate di farle appiccicare omogeneamente sulla sfoglia. La sfoglia così formata la ripasserete nella sfogliatrice con il numero 1, poi la ripassate man mano fino ad arrivare al n 4. Il risultato è strepitoso, una sfoglia bicolore dove è ben visibile l'impronta del peperone che userete solo per la parte superiore del raviolo. La base del raviolo invece la farete con la sfoglia all'uovo. 
Trasferite i peperoni, giallo, rosso e verde in un piatto insieme agli altri ingredienti per il ripieno, capperi, pinoli, due cucchiai di olio extra vergine di oliva,  olive di Gaeta private dell'osso e basilico. Tagliate le olive con un coltello e con una forchetta sminuzzate gli ingredienti e aggiungete un cucchiaio di fiocchi di patate per rendere l'impasto dei ravioli più compatto. 
A questo punto ponete la sfoglia sul piano di lavoro, e con un cucchiaino mettete ;il ripieno sulla sfoglia; spennellate dove avverrà la sigillatura con dell'albume d'uovo sbattuto e coprite con la sfoglia rigata di peperoni , premete bene sui bordi per saldare la pasta e tagliate con lo stampo per i ravioli. 
In una padella mettete l'olio extra vergine di oliva, per intenderci quello buono, aggiungete l'aglio, quattro filetti di acciughe e otto filetti di pomodorino datterino. Accendete il fuoco a fiamma quasi morta e lasciate andare sul fuoco finchè i filetti di acciuga non iniziano a sciogliersi. Appena questo procedimento si innesca alzate la fiamma per 30 secondi e terminate la cottura.
Tagliate la mozzarella a piccoli pezzi e strizzatela bene con le mani, conservando il latticello che ne fuoriesce. Passatela in un mixer, aggiungendo il latticello e  la crema di latte; frullate finemente. A questo punto risulterà granulosa; quindi trasferitela in un piatto e fatela riscaldare a bagnomaria e girate continuamente, spegnete  appena diventa vellutata . A questo punto passatela attraverso un setaccio e se rimanessero dei residui solidi, riscaldare ulteriormente e passare di nuovo finché non si esaurisce tutta la crema.
Cuocete i ravioli  in abbondante acqua salata per 5-6 minuti, scolateli e passateli delicatamente nel soffritto con le acciughe. In un piatto da portata adagiate i ravioli al peperò sulla crema di bufala; al centro di ogni raviolo con un cucchiaino versate un pò di sugo all'acciuga, guarnire con il pomodorino , basilico, pepe e prezzemolo tritato finemente, finite con una piccola grattugiata di fresella locale al finocchietto. 
Chissà se la nonna Mariuccia avrebbe apprezzato questa trasformazione del peperone imbottito (puparuolo imbuttunat), eseguita rispettando gli ingredienti e eseguendo cotture e metodi tradizionali. 
Non mancate alla sagra del Peperò che si terrà a Carmagnola dal 1 al 10 settembre.

Mozzafrozen Mozzarella di Ghiaccio

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Frozen, il regno del ghiaccio, conquista la mozzarella di bufala. Questa storia non è quella del cartone animato, ma una storia vera. Una storia paradossale che farebbe rabbrividire le generazioni passate, ideatrici di questo prodotto. Qual è il problema ? 
Pur di far  gustare la mozzarella di bufala su mercati difficili da raggiungere, stanno decidendo di congelarla (abbattitore) mantenendo la dicitura D.O.P - Frozen
Purtroppo questo prodotto fa sempre parlare di se, perchè è bella e buona e viene prodotta in uno dei posti più belli del mondo. Molte volte viene tradita dai suoi figlie e da chi dovrebbe tutelarla. Ma chi dovrebbe tutelarla ?? N.d.r 
Ormai si è capito, l'andazzo della globalizzazione distrugge il sapore, rimanendo la dicitura D.O.P. Su questa storia molti chef si sono schierati a favore e altrettanti contro, una guerra di potere e di commesse che fa capire tutto il marcio che sta sotto a questo mondo misterioso del food. 

Il titolo più bello dato dai quotidiani sulla vicenda è quello della Repubblica che scrive: Mozzarella congelata? Come liofilizzare il Chianti Classico.


Fortunatamente noi campani abbiamo la possibilità di degustare la vera mozzarella prodotta da caseifici che non aderiscono al consorzio. La sua dicitura è Mozzarella di latte di bufala. La differenza con l'altra ? Nessuna, anzi molti caseifici artigianali sono a dir lunga superiori rispetto a chi porta la dicitura D.O.P. 
Ritornando alla pratica Frozen, essa viene già praticata da molti caseifici, non so per quali prodotti, ma a pensar male molte volte ci si azzecca. Con questa pratica esporteranno mozzarella di bufala congelata eliminando l'odioso liquido di governo, che in termini di spedizioni ha un bel costo, quasi pari al peso della mozzarella. Viva il marketing e viva l'industrializzazione della mozzarella di bufala che porterà grossi margini ai produttori e sopratutto al consorzio stesso, sfruttando al massimo l'ecosistema Campano. 

Noi per loro siamo gli antichi ..., o forse... non era meglio investire nel turismo e far degustare sta sfaccimm e muzzarell in Campania ????

Pipi fritti salentini o peperone cornetto leccese

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Oggi per il calendario del cibo Italianoè la giornata dedicata ai peperoni; ne approfitto per condividere con voi questa bellissima cultivar di peperone presente in Salento, il peperone cornetto leccese o più comunemente detto pipi.
Ci sono luoghi dove sembra che il tempo si sia fermato in un epoca, dove la cultura per la salvaguardia dei territori era la ragione dell'essere. Il Salento ha salda questa cultura, e nell'innovazione continua per la strada tracciata dai suoi padri. Nell'entroterra, spostandosi a 7-10 km dalla costa è possibile vivere questa cultura agricola e genuina. Tra i vari ortaggi e frutti che la terra dona a questi territori, il peperone "cornetto" leccese è un must per i palati attenti agli antichi sapori. Si distingue dalle varietà da frittura tradizionalmente adoperate nel resto della Puglia e soprattutto in Campania e Calabria, che al contrario di questo sono molto meno carnose e risultano croccanti una volta fritte. Si riconosce per la somiglianza con il cornetto amuleto portafortuna. Dalla Campania in vacanza nel Salento non potevo non provare questo bellissimo peperone o cornetto leccese, che ho cucinato in modo semplice e servito su una bella fetta di pane cafone.                                                    
Ingredienti:
6 Peperoni cornetti leccesi
olio extra vergine di oliva
spicchio d'aglio 
sale 
fette di pane cafone 
Procedimento:
Lavate a asciugate per bene i cornetti peperoni leccesi con un canovaccio, lasciandoli integri, picciolo compreso. In una padella antiaderente, versate 1/2 bicchiere (quello in plastica) di olio extra vergine di oliva ed uno spicchio d'aglio. Appena l'aglio inizia a soffriggere mettete i peperoni adagiandoli in fila in padella per non rimanere spazi vuoti. Cuocete a fiamma media e coprite con un para schizzi , perchè sicuro che a contatto con l'olio lo stesso inizia a schioppettare . Girate di volta in volta finchè non saranno ben cotti. Praticamente devono cambiare colore e bruciacchiarsi un po.                             Servite i peperoni cornetti leccesi su una fetta di pane cafone e aggiustarteli di sale. Un peperone calloso che va degustato con semplicità.

Scialatielli Amalfitani circondati dallo scoglio

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Dopo la pausa estiva, l'Mtchallange  riprende il suo incontrastato e inesauribile cammino. La ricetta sfida n°67 è la pasta con il pesce, proposta da Cristina Galliti del blog Poveri ma belli e buoni. Felice per questa scelta, amo il mare e tutto il suo contenuto e il mio blog è a maggioranza di post con ricette di pesce. In questa ricetta racconterò la cucina di casa quando c'e' come ingrediente il pesce. Partiamo dalla pasta, che per noi campani rimane la colonna portante di tutta la cucina regionale; Gragnano ne rappresenta la capitale mondiale.
Pasta secca o fresca? Naturalmente pasta secca, fatta eccezione per gli Scialatielli Amalfitani, che nulla hanno a che vedere con quelli secchi o comunque comprati freschi nei pastifici. 
Molte volte rimaniamo affascinati dal suono di un nome "Scialatielli" e li compriamo alla cieca solo per la forma caratteristica che hanno. 
Sbagliato!!! Gli Scialatielli non sono una pasta di solo semola e acqua, ma un composto fatto da ingredienti che solo a sentirli ti viene da dire : che centrano con il pesce?
Farina 0, semola, latte, pecorino, basilico; un mix vincente che lo Chef Amalfitano Enrico Cosentino creò negli anni 60. Il loro nome deriva dall'unione di due parole, scialare e tiella che significano rispettivamente godere e padella. I sughi più comuni per condire gli scialatielli sono quelli a base di frutti di mare come vuole la tradizione Amalfitana, che a mio avviso è inarrivabile per il connubio tra tradizione e innovazione creativa.    
Ricetta Originale Scialatielli
200 gr.Farina Grano duro
200 gr Farina "0"
1 Uovo
120 ml di Latte
40 Gr. di Pecorino Grattuggiato
1 Cucchiaio di Olio Extra Vergine di Oliva
4 foglie di basilico
Pepe
Cottura 8 min 
Ingredienti:
400 g di Moscardini freschi 
4 vongole fasolari
4 vongole mandorla
300 g tra vongole verace e lupini
10 cozze
6 vongole taratufi
olio extra vergine di oliva (quello buono)
2 spicchi di aglio
15 pomodorini
sale 
pepe 
Pulite le vongole sotto acqua corrente, facendo molta attenzione che non c'e' ne sia nessuna guasta o piena di sabbia. La individuerete  dal diverso rumore che emette quando quando le facciamo saltare nella colapasta. Nelle mie zone le vongole vengono spurgate direttamente dal pescivendolo, e l'operazione di farle saltare per individuare la guasta o quella piena di sabbia spetta a lui :-) .
Se non siete pratici ad eseguire quest'operazione consiglio di aprire i frutti di mare da parte, in una pentola coperta con mezzo bicchiere di acqua.
Procedimento:
Su un piano di marmo disponete tutti gli ingredienti per fare gli scialatielli. Setacciate le farine e disponetele a fontana; con il pugno della mano  formate un incavo  al centro dove aggiungere tutti gli ingredienti ,l'uovo, il latte, il pecorino, il pepe, l'olio extra vergine di oliva  e  il basilico tagliato finemente. Incominciate ad amalgamare gli ingredienti con una forchetta , prendendo man mano la farina ai bordi; quando il composto ha preso consistenza incominciate a lavorare l'impasto con le mani per circa dieci minuti e fin quando risultata liscio e compatto. Avvolgete la pasta nella pellicola trasparente lasciatela riposare per circa un ora in un luogo fresco e asciutto. Stendete la pasta  con il mattarello, e volendo vi potete aiutare anche con una sfogliatrice domestica, fermandovi allo scatto n° 3 prima di tagliare gli scialatielli. 
Per tagliare gli scialatielli tutti unifiorme, mi sono aiutato con il trita prezzemolo della Foppapedretti che manco a farlo apposta da la forma dello scialatiello perfetto.    
  • In una padella mettete l'olio extra vergine di oliva  e lo  spicchio d'aglio schiacciato, e posizionate la padella sul fornello del caffè a fiamma molto bassa. 
"Questa procedura di soffritto dura circa 10-15 minuti, più lenta e questa operazione maggiore sarà l'aroma che l'aglio rilascia nell'olio extra vergine di oliva." 
  • Appena l'aglio inizia a cuocersi (non deve diventare giallo)passate la padella sul fornello grande, aggiungete i moscardini freschi e alzate al massimo la fiamma. Fateli rosolare per 5-6 minuti, aggiungete due bicchieri di acqua calda e fate cuocere a fuoco lento per 40-45 minuti. 
  • Asciugata tutta l'acqua, aggiungete i pomodorini freschi tagliati per meta; amalgamate il tutto con un cucchiaio di legno e lasciate cuocere per altri 5-7 minuti a fuoco lento. 
  • Aggiungete i frutti di mare vivi nel sughetto con i moscardini freschi, ad eccezione delle vongole fasolari e vongole mandorle, che vanno aperte prima (sempre nel sughetto) visto che hanno una cottura più lunga. 
  • In una pentola con acqua salta (2/3 di quanto ne andrebbe) cuocete gli scialatielli per 4 minuti ( avendo cura di non buttare l'acqua di cottura. 
  • Versate gli scialatielli nel sugo di moscardini freschi insieme a 1/2 mestolo di acqua di cottura della pasta e finitela di cuocere per altri 4 minuti coperta con un coperchio e girando spesso. 
Lasciate riposare gli scialtielli per 5 minuti, spadellate il tutto e servite guarnendo con il prezzemolo fresco tritato e pepe nero macinato al momento.
Con questa ricetta partecipo alla sfida n° 67 dell' MTChallange 

Linguine con rana pescatrice e i tre molluschi

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Seconda ricetta  per l'Mtchallange  della  sfida n°67 della pasta con il pesce, proposta da Cristina Galliti del blog Poveri ma belli e buoni. Dopo lo scoglio completo, ho eseguito una pasta alla pescatora con l'aggiunta di qualche mollusco. Nel regolamento di questo mese si fanno due distinzioni: le paste “allo scoglio” e quelle “alla pescatora”. Le prime sono esclusivamente a base di molluschi, cefalopodi e crostacei, le seconde si fanno invece con i pesci da lisca. A mio modesto parere, non tutti i peschi da lisca possono essere mischiati con molluschi, ad esempio: uno scorfano non potrebbe mai essere mischiato con nessun mollusco , le ragioni si trovano nel sapore e identità ben marcato di questo pesce. Infatti le fettuccine allo scorfano è un piatto tipico secolare di Capri. Partiamo sempre da un principio base, di solito il gusto è soggettivo, ma oggi si fanno abbinamenti senza senso solo per esaltare le proprie doti che poi risultano fallimentari rispetto alla tradizione. Buona l'innovazione nella tradizione senza esagerare.  Diverso invece è il discorso della rana pescatrice, che avendo un sapore più dolciastro, sposa benissimo con i frutti di mare che danno un ottima sapidità al piatto. In queste preparazioni, l'ingrediente principe, il pesce, deve essere fresco o quasi vivo, qui il pescivendolo di fiducia, per chi abita lontano dalla costa gioca un ruolo fondamentale. Un altro ingrediente che fa la differenza nei piatti di pesce è l'olio extra vergine di oliva, sopratutto quando si scegli di usare poco pomodoro. 
Procedimento:
Pulite le vongole sotto acqua corrente, facendo molta attenzione che non c'e' ne sia nessuna guasta o piena di sabbia. La individuerete  dal diverso rumore che emette quando quando le facciamo saltare nella colapasta. Riponetele in una zuppiera e lasciatele 4 ore con acqua e sale; noterete che tutte le delle vongole escono appena dal guscio. Dopo le quattro ore, se l'acqua dove sono state le vongole risulta trasparente e pulita, potete cuocere i molluschi insieme al sughetto con la rana pescatrice. Se viceversa invece, conviene aprire i frutti di mare da parte, in una pentola coperta con mezzo bicchiere di acqua, filtrare l'acqua che fuoriesce dalle vongole  e poi unirlo al sughetto con la rana pescatrice. .
Rimuovete la pelle della rana pescatrice e tagliarla in due parti, in modo da separare la testa dalla coda. In una padella di alluminio  fate soffriggere leggermente e a fiamma bassa uno spicchio d'aglio, unite la rana la coda e la testa della rana pescatrice e  fatela rosolare ambo i lati a fiamma bassa. Versate 3 bicchieri di acqua bollente e lasciate cuocere a fiamma dolce finchè non sarà evaporata tutta lacqua. 
Asciugata tutta l'acqua, aggiungete i pomodorini freschi tagliati per meta e con la parte del taglio rivolto verso i sughetto. Lasciate cuocere 5-7 minuti a fuoco lento. Aggiungete i frutti di mare vivi nel sughetto con il fuoco spento.
  • In una pentola con acqua salata cuocete le linguine, e cinque minuti prima della fine della cottura versateli nel sughetto di pesce  con  mezzo mestolo di acqua di cottura della pasta.
  • Lasciate cuocere per un minuto senza amalgamare le linguine, che faranno da coperchio per i frutti di mare.  
  • A questo punto amalgamate e continuate la cottura per altri tre minuti, amalgamando spesso il tutto. 
  • Lasciate riposare dai 3 ai 5 minuti, spadellate di nuovo il tutto e servite guarnendo con il prezzemolo fresco tritato e pepe nero macinato al momento.
Dimenticavo.....Niente congelati ( o comunemente chiamato pesci di plastica), che ci vengono venduti come pesci freschi per la loro glassatura di ghiaccio, ma niente hanno a che vedere col fresco. Vi lascio un bellissimo scritto, che è stato letto a termine della manifestazione Cibus in Tabula svolta a Ugento in quest'estate: 
Con questa ricetta partecipo alla sfida n° 67 dell'Mtchallange 

Pane cafone

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Oggi il calendario del cibo italiano, celebra la giornata del pane, simbolo alimentare dell'intera umanità. Nella tradizione familiare di casa, il pane cafone, ancora oggi come ieri è un alimento insostituibile. Un post questo che mi fa rivevere emozioni e ricordi di una tradizione vissuta che pian piano sta andando via. Il pane cafone cotto nel forno a legna  è un prodotto tipico della campania, ed è stato inserito tra i prodotti agroalimentari tradizionali italiani. Tre sono gli elementi fondamentali per la realizzazione di questo pane, la lievitazione naturale con il lievito madre (un tempo il "criscito") , il fior fiore della farina e la cottura nel forno a legno.
Il pane ha svolto una funzione importante nella storia dell'alimentazione, ed è stato l'alimento base sulle tavole dei napoletani sopratutto nel 1500. Se ne cibavano allora tutte le categorie sociali. In quell'epoca e fine a qualche decennio, il pane era considerato un alimento sacro, guai a buttare un piccolo pezzo di pane, e se non era più commestibile, prima di darlo agli animali si baciava accompagnato da una preghiera. Altri tempi..., altre storie di una vita che scorreva secondo una logica naturale.
Oggi il pane è diventato l'alimento dello spreco; non potete mai immaginare quanto pane viene buttato nel pattume dai supermercati e grandi magazzini. Ogni giorno  vengono consegnati grosse quantità di pane da consegnare ad una mensa per bisognosi della città. Dopo distribuito e consumato durante il pranzo ne resta comunque una grossa quantità che viene destinata agli animali. Parlo di un solo supermercato, non voglio immaginare il pane che avanza negli altri alimentari della città , della regione, dell'Italia e del Mondo.
Ritorniamo indietro e cerchiamo di capire perchè anni fa il pane non veniva sprecato !!
...Esistevano pochissimi panettieri e il maggior fabbisogno veniva colmato dalla panificazione casalinga che avveniva dentro le mure domestiche. I grani erano quelli coltivati dalle famiglie che all'occorrenza venivano portati al mulino cittadino per essere macinato. Dalla macinatura integrale del grano, le massaie separavano con un setacccio la crusca, (che davano ai maiali) dalla farina, ottenevano il   fior fiore della farina che in gergo dialettale era chiamato o "ciore" (il meglio del grano).
Altro elemento essenziale per il Pane cafone è il lievito naturale. Oggi si usa il comune lievito made, ma anni addietro veniva impiegato per la panificazione del pane il "criscito", chiamato anche pasta di riporto che era un  pezzo di pasta prelevato da un impasto precedente. Il "criscito", era un elemento del corredo per le figlie femmine che fin da bambine venivano istruite alla panificazione domestica. Questo pezzetto di pane ("criscito") che veniva staccato dall'impasto (circa 1 kg ) , lo si usava prestare  tra le massaie per la preparazione del pane. Ogni  giorno veniva rinfrescato da una famiglia  , e così questo pezzettino di pasta da famiglia a famiglia e dopo 10/12 giorni ritornava di nuovo al punto di partenza. Non aveva  proprietari perchè il "criscito" era considerato un bene comune. La differenza con il lievito madre di oggi e che il criscito  conteneva una piccola percentuale di sale proprio perchè come detto sopra veniva staccato dall'impasto finito.
Ingredienti:
10 Kg di farina ti frumento tipo "0"
1 kg di lievito madre 
6  l di acqua 
250 g di sale
Procedimento:
Dopo pranzo, nella "matrella" (madia)   il criscito veniva ingrossato con un litro di acqua e un kg di farina , l'impasto doveva risultare abbastanza molle. Terminato l'impasto,  la "matrella" (madia) veniva coperta prima con una grossa tovaglia e poi ancora con una coperta di lana. Oggi le nuove generazione di pizzaioli e panificatori ha dato il nome poolish a questo metodo che usavano le massaie.
La sera verso le 20:00, il "criscito" ingrossato aveva raddoppiato il suo volume e tutto era pronto per l'impasto finale. Intorno al "criscito" ingrossato si metteva la restante farina e al centro si versava l'acqua tiepida, dove  veniva sciolto il criscito. (Veniva conservato 1/2 litro di acqua dove veniva sciolto il sale). Si univa man mano  tutta la farina con l'acqua, e quando rimaneva ancora un pò di farina si aggiungeva l'acqua salata. Trenta quaranta minuti ad impastare energicamente e girando spesso l'impasto, i pugni infocati dalla pressione costante sull'impasto, venivano bagnati dall'acqua fresca riposta in una zuppiera. La pasta con i pugni prima  si stendeva e poi veniva piegata su se stessa. Quaranta minuti a ripetere questa operazione. (oggi questo metodo di  lavorazione gli scienziati della panificazione hanno dato il nome pieghe pieghe della pasta, per le massaie era l'abc di una lavorazione tramandata dalle vecchie generazioni). Si ricopriva di nuovo tutto.
Dopo un ora si rimpastava un 5 minuti e si  formavano i panetti di circa 2 kg l'uno, che venivano messi  a lievitare  nelle grosse tovaglie poggiate su delle tavole di legno.
La mattina seguente verso le 07:00, quando la lievitazione raggiungeva la giusta maturazione si iniziava ad accendere il forno a legna, che era ubicato nei cortili. Era una grande festa, i preparativi erano seguiti anche dai bambini che poi come premio pretendevano e ottenevano la pizza ca pummarol'ngopp.
Il forno non aveva il termometro per misurare la giusta temperatura, ma le massaie avevano esperienza e metodi infallibili. Per vedere se il forno arrivava a 250-280 gradi lanciavano con una mano un po' di farina sul suolo, se questa farina bruciava lentamente allora il forno era pronto per essere infornato, viceversa se bruciava subito dopo il lancio bisognava aspettare che la temperatura calasse.
Una volta infornato il pane, dopo 30 minuti si dava una controllata all'interno del forno, aiutandosi con un lume per vedere se qualche pezzo di pane doveva essere allontanato dalla brace ardente posta su un lato del forno.
Trascorso le 2 ore il pane veniva tolto dal forno e posto nella madia ancora caldo coperto da una tovaglia.
Questo pane mantene per circa 10 giorni, quello che avanzava veniva impiegato in molteplici ricette del riciclo.
La scelta del verbo imperfetto aiuta a capire l'importanza di questo alimento che ha avuto nel corso degli anni!                                                                                                                                 

Ziti alla genovese

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Oggi il calendario del cibo italiano, celebra la giornata della pasta, simbolo del made in Italy nel mondo. In rappresentanza della Campania ho scelto uno dei formati di pasti che ha fatto la storia della cucina napoletana, gli ziti. Anticamente si chiamavano “zite” perchè venivano preparati in occasione dei pranzi di nozze delle donne che uscivano dal ruolo di “zitelle”. Fratelli maggiori delle “zite” i zitoni anche detti da “matrimonio”.  Gli ziti alla  genovese è uno dei piatti più marcati della tradizione culinaria napoletana. Diverse sono le ipotesi delle origini di questo piatto. Per alcuni, questa pasta viene chiamata così in riferimento ai cuochi che la cucinavano, infatti nel periodo aragonese, nel porto di Napoli vi era una gran quantità di osterie gestite da cuochi genovesi, e tra i molti piatti ve ne era a base di cipolle e pezzi di carne, che veniva servita ai pescatori che si nutrivano quasi unicamente di pesce.
L'altra leggenda, narra che il nome di questo piatto sia dovuto a un cuoco che era soprannominato "o genovese", da qui il nome dato alla pasta. 
La scelta della carne per il sugo alla genovese deve essere mirata per sopportare le lunghe cotture senza che la stessa si sfaldi. Il girello, il lacerto, ma anche la pancia di mucca sono idonee a questo tipo di preparazioni. Per questa pasta alla genovese ho utilizzato il codone che è l'equivalente della picanha brasiliana tagliata tipo spezzatino. Il formato di pasta più adatto e tradizionale per condire il sugo alla genovese sono gli ziti lunghi. Essi vengono spezzati a mano e in modo grossolano.
Ingredienti:
400 g di ziti lunghi
codone di manzo di circa 700 g
4 pomodorini
1 carota 
3 cipolle
1/2 costa di sedano
1 bicchiere di vino bianco
Parmigiano 
sale 
pepe
Procedimento: 
Pelate la carota, sfilettate la costa di sedano togliendo l'estremità inferiore e sbucciate le cipolle; lavate con cura sotto l'acqua corrente e asciugateli per bene. Tagliate il tutto  grossolanamente e mettete la cipolla da parte. In una pentola capiente versate l'olio extra vergine di oliva e fate soffriggere a fuoco lento le cipolle. Unite la carne e fate rosolare bene per qualche minuto girando la carne di tanto in tanto per permettere la doratura su tutti i lati. Quando la carne sarà rosolata dappertutto, irrorate con il vino bianco e aggiungete le carote e il sedano e lasciate stufare fino a quando il vino non sarà completamente evaporato. Coprite in questa fase la pentola con un coperchio. Quando il vino sarà completamente evaporato aggiungete acqua bollente fino a coprire la carne. Aggiustate di pepe e sale. Cuocete la genovese per tre ore a fuoco lento, se necessario aggiungete altra acqua bollente se evapora prima del tempo. 
Spezzate gli ziti in modo grossolano, e non togliere mai ad una bambina l'emozione di eseguire questa operazione.
In una pentola con acqua salata cuocete gli ziti, e due minuti prima della fine di cottura versateli nel sugo alla genovese. Saltate la pasta nel condimento e lasciate riposare la pasta per due tre minuti, servite spolverando del parmigiano o se preferite del pecorino.
 Calendario del Cibo Italiano

Pon pon di Rubatà e ricotta di bufala

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Non esiste area del Piemonte che non siano presenti eccellenze e tradizioni mantenute integre nel tempo. Oltre alle sue eccezionali produzioni vinicole e la genuinità della sua cucina, il Piemonte e in particolare Torino è famosa per aver inventato il grissino. A Torino non c'è pranzo o cena che questo fragrante bastoncino di pane non sia presente sulla tavola.
Il grissino più antico e tradizionale è il robatà ( si pronuncia rubatà che significa rotolato o caduto), prodotto a Chieri (20 chilometri da Torino), è lungo dai 40 agli 80 cm si riconosce dalla caratteristica nodosità, dovuta alla lavorazione e arrotolamento fatto a mono.
Il grissino di rubatà venne prodotto per la prima volta da Antonio Brunero, fornaio di casa Savoia nel 1679. Inventò questo alimento per nutrire il piccolo Duca Vittorio Amedeo di Savoia, troppo cagionevole per digerire la mollica di pane.Grazie alla loro alta digeribilità e conservazione rispetto al pane, i grissini hanno conquistato in questi secoli un posto sulle di tutto il mondo.
Oltre al grissino rubatà, un altro simbolo gastronomico della città è la focaccia dolce di Chieri,ingredienti semplici e genuini. 
Dal 10 al 14 novembre a Chieri si svolgerà la fiera di San Martino dove troverete i prodotti tipici del territorio, potete consultare il programma su questa pagina facebook. La mia ricetta di uso alternativo del grissino e' stata una impanatura grossolana di grissino rubatà alle palline di ricotta saltate. 
Le palline di ricotta salata, con granella di grissino di Chieri è un appetitoso finger food , freddo, facile e veloce. Ideali per accompagnare antipasti e aperitivi. Potete prepararle con largo anticipo e porle in frigo fino al momento di servirle.
Ingredienti:
200 g di ricotta di bufala 
100 g di grissino di Rubatà 
70 ci parmigiano
70 g di salame 
Passata di pomodoro riccio di Caiazzo
olio extra vergine di oliva
basilico
pepe 
Procedimento:
Tagliate il salame a fette e poi ancora riduceteli in piccoli dadini. Mettete la ricotta in una ciotola alta e schiacciatela con una forchetta disponendola sul fondo. Unite il pepe, il parmigiano e il salame, amalgamate con un cucchiaio di legno fino ad ottenere una consistenza corposa e omogenea. Schiacciate i grissini "Rubatà" fino ad ottenere una granella multiforme, e ponetela in un piatto. Prendete un cucchiaino di ricotta (circa 12 g) e passatela tra i palmi della vostra mano fino ad ottenere una forma rotonda. Con 200 g di ricotta farete circa 18 palline di ricotta. 
Trasferite le palline di ricotta in frigo per circa 3 ore. Trascorso il tempo, ritirate le palline dal frigo, ripassatele di nuovo tra i palmi della mano per perfezionare la forma  e rotolatele sulla granella di grissino "Rubatà". Disponete le palline di ricotta sulla passata di pomodoro riccio di Caiazzo, due gocce di olio extra vergine di oliva, basilico triturato e del grissino integro "Rubatà"
Fiera di San Martino Chieri (TO)  clicca qui per tutte le info

Rucule ‘nfarinat e Fritt -Poesia Sott’ O Fuculare -

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Ci sarebbe da scrivere una poesia su questo fritto che ha accompagnato i ricordi dei bambini di un passato non molto lontano, quando la nonna…. rint ‘o ruot, sott ‘o fucular, frijeva ‘e rucule  ‘nta farina…

Non si puo’ descrivere la sensazione di questa bonta’…
Pur con l’aiuto del web, sono state vane le mie ricerche nel trovare questo tipo di verdura; qualcosa di molto simile c’e’, ma non e’ quella che vedete in foto.
Beh! una ragione me la sono fatta, questa pianta  che non e’ in vendita in nessun supermercato, è possibile reperirla in quegli orti presso qualche vecchietto che si dedica a coltivazioni casarecce di ortaggi e quanto altro possa definirsi ancora genuino. E’ possibile che nel corso dei secoli essa abbia  subito mutazioni che ne hanno anche variato la sua struttura originaria, anche grazie ai giochi che la natura stessa pone in essere, malgrado la mano dell’uomo. Infatti , i più la confondono con la rucola o la ruchetta. Ma questa è un’altra storia, figlia della precedente.
Chiedi e ti sara' dato, Franco ha accolto il mio appello e mi ha inviato la Poesia che avevo invocato.

SOTT’O FUCULARE
Un ritorno al passato, non molto remoto, su un’infanzia vissuta con piacere. A rammentare, per averne ancora il ricordo vivo, la struggente bellezza di momenti  che non ti lasciano mai, tanto da lasciare tracce indelebili, anche nelle odierne quotidianità. Di questi ricordi, specialmente i sapori di quei tempi, non cessano di essere autentiche realtà legate a quelle genuinità di cui tanto si sente il bisogno…..Con le NOTE si dà anche la traduzione di qualche termine….non più in uso.

Nun è nu’ fattariell’e tiemp antiche,
ma ‘o vvero ‘e chella vita d’o passato,
che ll’uommene cchiù viecchie, cu’ ll’amiche
arricordano, parlanne: t’è scurdato?

Pur’je, turnann’arreto cu’e pensieri,
all’ann ‘e quanno ero piccerillo,
mo’ m’arricordo comm foss ‘aieri,
cu poche pazziarelle e ‘nu vattillo.

Me steva ‘nzino comme foss’a mamma,
‘o ccarezzavo c’a manella, e addora
e, na frittura ‘e rucule c’a nzogna,
nun se fermava arint, jeva ‘a fora.

A’ ggente a’llà ppe tuorno ‘a voce,
aizava comme stesseno cu’ nnuie,
ce’a date ‘na pezzella cu’ ‘na noce,
e nuie priamm’a Dio assiem’a vvuie?

A tiana ‘ncopp’o trebbete vulleva,
cu ‘e stèlle che sparavano scintille,
‘o ffuoco allèro, allèro che jardeva,
pareva ca pur’isso ce traseva.


Accarezzava ‘o pignatiello ‘e creta,
chiìn’e fasule russe, chianu, chiano,
‘a vrasa ‘e chellu ffuoco, pur’addrèta,
reva calore comm’accarezza ‘a mano.

E na carezza vera, po’ ‘nt’o suonno,
cchiù fforte ‘e na’ jurnata ‘e fantasia,
‘nt’e bbracce fort e ddoce ‘e nonna mia,
ca ‘nzieme a Dio, ce guard’all’atu munnoche 
                                                                               di Franco Russo                     

Stèlle= pezzi di legna spaccata, utilizzata per alimentare il fuoco sotto il “trebbeto”;
Trebbete= (tripode) manufatto metallico utilizzato per il pentolame in rame, molto usato tempo fa e ancora in voga, di varie misure  ed adatto all’uso che se ne deve fare;
Vrasa= brace.
NOTE della Traduzione.
RUCULI=  un tipo di verdura molto usata a quei tempi e ancor tutt’ora, un po simile alla rucola, ma non uguale.
PIGNATIELLO= un orcetto con due maniche, in creta, adatto a stare vicino alla brace del focherello, usato tutt’ora,      che dà una cottura costante, saporita e genuina a legumi e non solo.
Ingredienti: 
Ruculi  (simile alla rucola ma non uguale)
1/2  Farina "00" 
1/2 Farina di Semola Molino Chiavazza
Sale 
Olio per Frittura.(Na' Vot' a nzogna)
Procedimento: 
Selezionare dal ceppo grande i Ruculi centrali, lavarli in abbondante acqua per due tre volte 
Sbollentarli per 5-6 minuti in abbondante acqua salata,Scolarli in una scolapasta e lasciarli per una 30 minuti in modo che si asciughino bene.
Infarinare i Ruculi nella farina e friggerli in abbondante olio.  
Un fritto dal sapore unico, consiglio di accompagnarlo con pane fresco e un bel bicchiere di Rosso.
B   U   O   N       A   P   P   E   T   I   T   O
Traduzione poesia SOTT’O FUCULARE
Una traduzione, inevitabilmente, provoca l’annullamento della rima. Ma, tant’è.
VICINO AL CAMINO
Non è un fatterello dei tempi antichi,
ma la realtà di una vita trascorsa,  
che gli uomini più anziani, c on gli amici,
ricordano, parlando: ti sei scordato?

Anch’io, tornando indietro coi pensieri,
agli anni di quand’ero piccolino,
or lo ricordo come fosse ieri,
con pochi giocattoli ma almeno un gattino.

Mi stava in grembo come se fossi la mamma,
lo accarezzavo con la manina, e l’odore
di una frittura di ruculi con la sugna,
non si fermava dentro, andava fuori.

La gente del vicinato la voce,
alzava come stesse insieme a noi,
ci date una frittella con una noce,
e noi preghiamo Dio insieme a voi?‘

La pentola sul tripode bolliva,
con i pezzi di legna che sparavano scintille,
il fuoco allegramente che ardeva,
sembrava che anche lui partecipava. 

 (il fuoco)Accarezzava il pignatiello di creta,
pieno di fagioli rossi, piano, piano,
la brace di quel fuoco, pure indietro,
dava calore come accarezza una mano.

E una carezza vera, poi nel sonno,
più forte di una giornata di fantasia,
tra le braccia forti della nonna mia,
insieme a Dio, ci
guarda dall’altro mondo.

Spaghetti con pesto di scarola e colatura di Alici di Cetara

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E' la prima volta che uso colatura di alici di Cetara in una ricetta, un ingrediente o meglio un insaporitore che con il suo aroma inconfondibile  può essere utilizzato in sostituzione del sale, per questo va dosato con molta cautela. Un eccessivo utilizzo può rovinare il piatto, per questo ho provato a domandare le dosi agli abitanti di Cetara durante il blog tour  tenutosi dal 1 al 3 dicembre a cetara in occasione della festa sulla colatura. . Quasi tutti alla domanda di quanta colatura va usata in un piatto di spaghetti, rispondevano un cucchiaio a testa. Ho dato ascolto a loro, a chi vive il territorio, infatti nella ricetta del contest in memoria di Ezio Falcone ho seguito le quantità di chi da anni usa la colatura di alici.
La ricetta che ho presentato  fonde i due piatti simbolo del Natale in Campania, la pizza con la scarola e gli spaghetti della vigilia di Palma Campania.
Entrambi hanno in comune l’acciuga. La scarola scottata con aglio, colatura e pepe ha completato la cottura degli spaghetti che una volta cotti sono stati adagiati su una crema di mozzarella. Le nocciole sminuzzate insieme ai pinoli e noci sono state tostate in olio extra vergine di oliva e colatura di alici messe alla fine sugli spaghetti.
Ingredienti:
2 cuori di scarola
4 noci 
10 pinoli
pepe
3 cucchiai di olio extra vergine di oliva
Ingredienti per Nocciole tostate
20 Nocciole
1 spicchio di aglio
olio extra vergine di oliva 
Condimento Colatura
400 g spaghetti
4 cucchiai di colatura di Alici di Cetara
10 cucchiai di olio extra vergine di oliva 
prezzemolo 
aglio 
Crema di Mozzarella
150 g di Mozzarella di Bufala
80 ml di crema da latte
12 chicchi di uva passa bianca
Procedimento:
Preparate un trito di prezzemolo, aglio aggiungendo dieci cucchiai di olio extra vergine di oliva e quattro di colatura di Alici di Cetara. Lasciate il trito ad insaporire per il tempo della preparazione del piatto. 
Pulite accuratamente il centro (o cuori) della scarola e divideteli in quattro parti. In un tegame fate soffriggere leggermente e a fiamma bassa uno spicchio d'aglio schiacciato, unite la scarola, le noci, i capperi,i pinoli, il pepe e lasciate cuocere con il coperchio e a fuoco medio basso per circa 20 minuti o appena l'acqua sotto la scarola sia evaporata tutta. Terminata la cottura con un minipimer riducete la scarola a crema. Fatta riposare cinque minuti, aggiungete un cucchiaio di colatura di Alici di Cetara.
Tagliate la mozzarella a piccoli pezzi e strizzatela bene con le mani, conservando il latticello che ne fuoriesce. Passatela in un minipiper, aggiungendo il latticello e  la crema di latte; frullate finemente. A questo punto risulterà granulosa; quindi trasferitela in un piatto e fatela riscaldare a bagnomaria e girate continuamente, spegnete  appena diventa vellutata . A questo punto passatela attraverso un setaccio e se rimanessero dei residui solidi, riscaldare ulteriormente e passare di nuovo finché non si esaurisce tutta la crema.
In una padella porre l'olio extra vergine di oliva, le nocciole triturate con un coltello e lo spicchio d' aglio schiacciato; far soffriggere fino a doratura delle nocciole, spegnere il fuoco ed aggiungete dopo circa 5 minuti 1/2 cucchiaio di colatura di alici di Cetara. 
In una pentola con acqua salata cuocete gli spaghetti, e 4 minuti prima della fine di cottura versateli in una padella con la crema di scarola. Continuate la cottura (tre minuti) in padella aggiungendo qualche mestolo di acqua di cottura. Terminata la coltura amalgamate con il trito preparato con la colatura di alici di Cetara. Servite gli spaghetti sulla crema di mozzarella e uva passa, terminate aggiungendo le nocciole tostate. 

Tour tra le alici e la colatura di Cetara

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...Avevo un conto in sospeso con Cetara, dopo aver fatto il blog tour in barca a pescare le famosissime alici, mi mancava come le stesse venivano lavorate. Opportunità colmata dall'invito del calendario del cibo italiano alla festa delle alici di Cetara tenutasi dal 1 al 3 dicembre.
Il blog tour è iniziato nell'azienda IASA insieme ad altri quattro blogger del calendario del cibo italiano, Cristina, Cinzia, Sabrina e Anna Laura. Una bellissima accoglienza da parte di Lucia, una delle proprietarie, che offriva a noi blogger  un ricco buffet di prodotti IASA e prodotti tipici del territorio, come la mozzarella e la ricotta di bufala. Dopo un bel dialogo sulle tradizioni e la crescita graduale dell'azienda IASA, abbiamo fatto una visita presso il reparto produzione, dove le operatrici erano impegnate a pulire le alici fresche di Cetara. Ci hanno spiegato che una parte andavano in salamoia per produrre i filetti di alici, mentre le altre sarebbero servite per realizzare la colatura di alici di Cetara. Abbiamo visitato anche il reparto maturazione e stagionatura ci siamo soffermati sulla nuova linea di prodotti che IASA messa sul mercato come l'orata a vapore e il branzino sottolio.
Terminata la visita presso IASA ci siamo diretti verso Cetara accompagnati da Angela Speranza assessore alla Cultura, Turismo e Comunicazione del Comune di Cetara. 
Cetara è un pittoresco borgo marinaro della costiera Amalfitana che sorge ai piedi del monte Falerio e, distinguendosi in una profonda vallata fiancheggiata da vigneti e agrumeti, si apre quasi a ventaglio sulla stretta fascia pianeggiante a livello del mare. Davvero incantevole!
A Cetara Angela ci ha fatto conoscere gli artigiani del gusto, siamo partita dall'azienda Nettuno, fondata nel 1950 da Raffaele Giordano e gestita attualmente dai figli  Vincenzo e Giulio Giordano.  Giulio ci spiegava che   la produzione è legata alle quantità e ai tipi di pescato locale poiché i prodotti sono interamente lavorati a mano con materie prime esclusivamente del posto. Le alici fresche appena pescate vengono decapitate ed eviscerate e sistemate in un contenitore di legno detto "terzigno" (un terzo di una botte) a strati alterni con il sale. Sull'ultimo strato viene appoggiato un coperchio di legno detto "tompagno" sul quale viene posata una pietra marinara. Si lasciano maturare le alici per 12-18 mesi. 
Giunte a maturazione, un liquido affiora in superficie grazie alla pressione esercitata dalla pietra. Con un attrezzo appuntito detto "vriale" viene praticato un foro sotto il terzigno dal quale comincia ad uscire goccia dopo goccia il liquido ambrato. Attraversando lentamente i vari strati, il liquido raccoglie il meglio delle caratteristiche organolettiche delle alici e fuoriesce, già filtrato dagli stessi strati di alici e sale, dal foro praticato. La colatura viene raccolta in un recipiente di vetro e quindi imbottigliata. 
Attaccato all'azienda Nettuno, si trova un' altra azienda di trasformazione di alici il Delfino, dove oltre a produrre filetti  e colatura di alici di Cetara, producono anche un pesto particolare chiamato Cetarese per il forte legame con il territorio. 
Ma Cetara non è solo famosa per la pesca e le alici, gli agrumeti sono una risorsa ed una eccellenza del territorio. Sempre nel centro di Cetara l'ultima visita della giornata l'abbiamo fatta al laboratorio artigianale  Agro Cetus
Il titolare Gennaro, oltre ad essere un produttore di limoni, con i suoi nipoti trasforma questo frutto, che qui in costiera è l'eccellenza assoluta, in limoncello. Prodotti di punta sono anche il mandarinetto e il liquore a cioccolato, oltre a tanti altri prodotti. La giornata è terminata con una cena a base di colatura e alici presso il ristorante la Cianciola.
La domenica mattina ci siamo trovati tutti all'hotel Cetus dove si è svolta il concorso Ezio Falcone. Ogni partecipante ha presentato un piatto dove la colatura di alici era l'ingrediente di rilievo. Varie sono state le proposte ed è stata premiata la semplicità dell'utilizzo della colatura. Per la giuria le linguine all'amalfitana sono risultati un piatto della tradizione con uno sguardo all'innovazione clicca qui. La mia proposta la trovate in questo link.
La sera ci siamo trovati tutti al convento San Francesco a Cetara per il convegno sul seguente tema:  "Storia, Territorio e DOP. Qualità per condividere una strategia di insieme" .  Istituzioni ed esperti del settore, hanno spiegato l'importanza di far riconoscere alla Colatura di alici di Cetara la Denominazione di Origine Protetta. Oggi per contrastare le truffe alimentari su questo prodotto è di vitale importanza il riconoscimento della DOP, per la storia, le persone il territorio.

Un ricco buffet a base di alici e colatura di Cetara, chiudeva questi bellissimi tre giorni nel borgo più bello del mondo! 

Baccalà Islandese o Norvegese? Scopriamo qual è più buono

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Il baccalà rimane l'alimento più consumato sulle tavole dei campani alla vigilia di Natale, non se ne può fare a meno... c'e' chi lo mangia a mezzogiorno accompagnata dal broccolo di natale fritto, chi invece la sera nel cenone della vigilia. O' pezzullo e baccalà nel mio territorio è una religione, le nostre nonne infatti quando andavano a comprare il baccalà, non conoscendo le tipologie, al baccalaiuolo gli ordinavano sempre  quello che doveva sfogliare. La vigilia di Natale era per loro un giorno particolare, la nascita del Messia doveva essere festeggiato con il miglior cibo disponibile. Spesso però capitava che il baccalaiuolo barava e il baccalà invece di sfogliare era stopposo.  
I due tipi di baccalà più consumati sono l'Islandese e il Norvegese, ma uno dei due deve per forza essere superiore all'altro! Quindi qual è migliore tra Islandese e Norvegese?
Il baccalà che sfoglia ed è più saporito è quello Islandese, andiamo a conoscere perchè. Partiamo dal dire che la conservazione sotto sale del merluzzo, dà origine ad un prodotto con il nome di baccalà.
La popolazione dei  merluzzi della specie gadus morhua, sono concentrati nel maredi Barents, ai confini con il circolo polare, dove questi pesci si rifugiano sotto lo spesso il ghiaccio. Il merluzzo è abituato a vivere in condizioni  climatiche avverse, ma quando deve deporre le uova va alla ricerca di acque più calde ed un ambiente più adatto alla crescita dei piccoli nati. Dal mare di Barents il merluzzo depone le uova nelle acque norvegesi al largo delle isole Lofoten; qui i mari freddi del Nord incontrano la corrente del Golfo e la temperatura si stabilizza intorno ai  6-8 gradi. In questa traversata avviene un fenomeno bellissimo, diciamolo pure di equità. Infatti non tutti i merluzzi si dirigono al largo delle isole Lofoten (Norvegia), diversi branchi deviano per l'Islanda, dove la corrente nord atlantica crea il clima ideale per la schiusa delle uova. Questi merluzzi prima di arrivare in Islanda compiono il doppio dei Km rispetto a quelli che sono andati in Norvegia. 
Questo rende i Merluzzi più forti, più grandi e più gustosi. Stessi merluzzo all'origine,  ma le differenze fisiche notevoli, influiscono sulla qualità finale. Ma un altro fattore che determina quale dei due sia più pregiato è l'approccio produttivo differente tra le due Nazioni. La Norvegia è il più grande produttore di stoccafisso al mondo, ma sul baccalà L'Islanda ha una marcia in più! In Islanda la pesca del merluzzo viene effettuata ancora all’amo, quindi praticamente a mano e la salatura avviene quando il pesce è ancora fresco, mentre l’approccio dei Norvegesi è più industriale e prima della salatura il merluzzo viene surgelato.
Questioni di gusti? Q uesta volta il palato non centra l'Islandese è un altro baccalà!

Acqua cecata

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Quando si parla di tradizione è sempre una grande emozione apprende e diffondere senza mai aggiungere del personale, l'egocentrismo sta distruggendo le tradizioni e il palato di molti fessi. Così anche per l'acqua, le lobby e i media hanno indirizzato il popolo a bere le acque minerali a discapito di quella pubblica. Le multinazionali ringraziano, il popolo esegue e milioni di litri di acqua pubblica (che non è inferiore a quelle delle minerali) viene usata solo per servizi secondari.  L'associazione culturale enogastronomica "Il Cortile di Cerere" di cui ne faccio parte, in questi mesi ha pubblicizzato l'acqua pubblica di Marcianise, con diversi tour presso le fontane pubbliche e con un convegno finale tenutosi nel Palazzo della Cultura di Marcianise. "Alcuni dei massimi rappresentanti della salute pubblica locale, hanno esposto il tema della potabilità dell’acqua pubblica, per la quale hanno garantito un costante e preciso controllo e una massima sicurezza per chi beve acqua dai rubinetti delle proprie abitazioni, che in alcuni casi è addirittura migliore di certe acque imbottigliate; l’importante, è stato sottolineato, è tenere sotto controllo eventuali autoclavi e la rete idrica privata". Al termine del convegno è stato offerto a tutti i partecipanti un piatto della tradizione popolare di Marcianise, "l'acqua cecata" . 
L'acqua è vita, con il pane è anche cibo spirituale usato per purificare corpo e anima. Ritroviamo varie versioni di ricetta con questi ingredienti base nelle varie regioni d'Italia e altrove. Da noi, in tutta terra di lavoro diventa un piatto povero e a secondo delle stagioni, cambiava la versione. Fresca e senza cottura in estate e bollente nei mesi freddi. Il pane usato era quello raffermo e fatto in casa nel forno a legna e con farina di frumento (pane cafone).
Ingredienti: 
Pane raffermo, bello tosto
una cipolla
uno spicchio d'aglio
2 pomodori
sale 
pepe
Procedimento:
In un tegame soffriggete  per poco tempo la cipolla tagliata in quattro parti e lo spicchio d'aglio. Aggiungete l'acqua calda nel soffritto facendo attenzione che non schizza negli occhi, da qui il termine cecata. (potresti farti male agli occhi ). Aggiungete il pomodoro, aggiustate di sale e fate bollire per circa 10 minuti. Mettete nel piatto il pane duro  e irrorarlo con il brodo molto ristretto. Aggiungete l'olio extra vergine e pepe a crudo e servite!

Presente al convegno anche l'amico Franco Russo, che  ci ha scritto apposta per l'evento questa bellissima poesia in dialetto nostrano con relativa traduzione in Italiano.
‘A CECATA
‘A sient mmocca e nun ‘a vire,                               
l’acqua chiara ‘e l’ammelone,                                   
scesa a cascatella, ‘nfunnennela c’ammira,        
chellu ppane, tagliato ‘ncopp ‘o matrone.          

S’anneja tutta quanta ‘a fella,                               
po’ s’aspetta che spogna gnagnolla;                               
e p’a fa parè ancora cchiù bella,                           
se sposa cu’ ll’uoglio caruto ‘a n’ampolla.          

‘Nu pizzeco ‘e sale, ‘nu poca r’addore,                
comme ‘a ciurata ‘ncapa ‘a ‘na sposa,                 
pe’ pruvurenza ‘a ‘na vita r’ammore,                   
che abbenerice e po’ s’arreposa.                          

Niente se jetta r’o ppane c’avanza,                      
cu’ ‘nu rispetto antico ‘mparato,                          
pare ‘nu rito, ‘na sorta ‘e crianza,                         
ca c’arricorda ‘o presente e ‘o passato.               

Chello che resta pe’ tutta ‘na vita,                        
songheno ‘e fatte che t’anna cuntato,                 
ma a ‘na parola già riferita,                                     
è meglia ‘na prova….’nu piatto assaggiato.         

                                                                  Franco RUSSO
‘A CECATA
La senti in bocca e non la vedi,
l’acqua chiara del boccale (di creta) 
scesa a cascatella, bagnandola la guarda,
quel pane, tagliato sul matrone (mobile ligneo).

S’annega tutta quella fetta,
poi s’aspetta che la inzuppa completamente,         
per farla sembrare più bella,
Si sposa con l’olio caduto da un’ampolla.

Un pizzico di sale ed un po’ di odori,
come un’infiorata in testa ad una sposa
quale provvidenza ad una vita d’amore,
che benedice e poi si riposa.

Niente si butta del pane che avanza,
con un rispetto antico, imparato,
sembra un rito, una sorta di ossequio,
Che ci ricorda il presente e il passato.

Quel che resta per tutta una vita,
sono i fatti che han raccontato,
ma una parola già riferita,
è meglio come prova…..un piatto assaggiato.
                                                                  Franco RUSSO

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